
Le mani nodose, le rughe che solcano il viso, gli occhi stanchi, i movimenti impacciati. Sono i nostri anziani. Stroncati dentro le case di riposo, vittime di una straziante ecatombe.
Qui il Covid-19 ha picchiato duro e in silenzio, attaccando corpi già compromessi da malattie e usure dell’età.
Falcidiati a centinaia nei luoghi dove si aspettavano cure e attenzioni, trasformati all’improvviso in moderni lager per condannati a morte.
Erano i nostri anziani. Nonne e nonni, madri e padri con alle spalle storie diverse, eppure tutti così uguali.
Sembra di immaginarli. Con le mani tremanti e le gambe trascinate, i capelli radi e argentati, le camicie a quadretti e i maglioncini a colori pastello, i plaid abbandonati sui letti, lo sguardo smarrito e l’attesa costante di una visita.
Tanti, troppi di loro, finiti nella colonna di ambulanze che nella notte li preleva dalla casa di riposo e li porta in ospedale con ritardi fatali per la maggior parte di loro.
Soli, fragili, spaventati, ormai definitivamente lontani da figli, nipoti, fratelli e da ogni parvenza di vita. Una vita pur sempre da vivere, per quanto breve.
Morti che resteranno per sempre sulle coscienze. Perché stavolta il killer non è soltanto quel Coronavirus che da mesi controlla e stravolge le nostre esistenze. Perché stavolta qualcosa è andato maledettamente storto in quelle comunità, diventate drammatici focolai.
Morti che più delle altre devono farci riflettere. E vergognare.