
Ha lavorato sodo in più settori dell’amministrazione dell’Interno, con forza e determinazione, sino al traguardo della nomina a Prefetto, carica che ha ricoperto nelle sedi di Fermo, Frosinone e Pistoia. Una donna diretta, Emilia Zarrilli, che non si è mai tirata indietro quando si è trattato di affrontare i problemi dei territori che le sono stati assegnati come rappresentante del Governo. Dimostrando grande sensibilità verso le tematiche sociali e attenzione nei confronti della condizione delle donne.
Quali sono state le tappe fondamentali della sua carriera?
Sono entrata nell’Amministrazione dell’Interno nel 1981, dopo aver superato un concorso pubblico molto selettivo e sono stata nominata Prefetto nel 2009. In questi lunghi anni ci sono state delle promozioni intermedie prima di conseguire il risultato finale. Ogni step è stato ugualmente importante, perché ha comportato maggiori responsabilità, ma il passaggio alla Dirigenza è stata la svolta che mi ha proiettato verso il traguardo conclusivo. Con il passare degli anni, il mondo lavorativo è diventato sempre più selettivo e le competizioni sempre più accentuate. Personalmente ho vissuto i cambiamenti, connessi alla progressione di carriera, sempre con timore, dubbi e preoccupazioni, ma li ho sempre cercati perché li ritenevo indispensabili per un bagaglio di esperienze necessarie per l’obiettivo da raggiungere. Ho affrontato la gestione di nuovi uffici sempre con determinazione, ma anche con approfondimenti, con studi di settore, in modo da non essere impreparata rispetto ai superiori e soprattutto ai collaboratori. Nei nuovi contesti lavorativi però ho cercato sempre di apportare il mio modo di essere: pratico, celere, operativo, immediato quanto più possibile, per dare risposte concrete ai cittadini che richiedevano in tutti i contesti sociali ed economici maggiore sicurezza. Naturalmente, con l’esempio e la dedizione, ho cercato di motivare e stimolare i collaboratori, avendo ben chiaro che “fare squadra” era la cosa più importante.

Si dice che le donne debbano faticare il doppio per farsi riconoscere dei meriti. Cosa racconta la sua esperienza a tal proposito?
Le racconto un aneddoto: ho iniziato la pratica legale appena laureata, avevo solo 23 anni e portavo i capelli molto corti che mi davano un’area sbarazzina. Per i clienti dello studio ero sempre e solo la segretaria dell’avvocato, la fidanzata, la sorella ma mai l’avvocato, eppure ero io che scrivevo tutte le comparse più impegnative dello studio legale. Pensi come dovevo sentirmi io che ero riuscita a laurearmi nel minor tempo possibile, con il massimo dei voti, con una tesi pubblicata di fronte all’incredulità dei clienti a riconoscermi il titolo di avvocato. I tempi sono cambiati, grazie anche all’impegno e alla serietà, sul posto di lavoro, di donne che sono riuscite ad emergere solo grazie ai loro meriti. Non sempre è stato semplice. Io ho lavorato in ambienti non solo maschili ma anche maschilisti, dove prima veniva la donna e poi il funzionario. Per invertire questo concetto (solo il funzionario e poi eventualmente la donna) non solo è stato necessario lavorare il doppio, dimostrare ogni giorno che si era capaci, o forse più capaci di altri, conquistarsi la fiducia solo per la professionalità e la dedizione, mettendo da parte tanta vita personale ma i risultati raggiunti con il doppio della fatica hanno comportato più soddisfazioni, anche e soprattutto da parte delle collaboratrici. Sono certa che la donna sul posto di lavoro porta più dialogo, più capacità di ascolto, più sensibilità, doti indispensabili negli anni passati ad avere anche la collaborazione di uomini più anziani che erano refrattari a riconoscere un ruolo preminente ad una donna.
E’ stata anche Ambasciatrice del Telefono Rosa. Oggi la violenza sulle donne è ancora un’enorme emergenza del nostro Paese. Cosa pensa si debba fare per tutelare in maniera efficace le vittime?
Tutte le donne sono potenziali vittime di violenza, aggressioni verbali e fisiche, maltrattamenti e vessazioni proprio e solo in quanto donne. Nel contrastare questo fenomeno, sempre più dilagante, noi donne dobbiamo prima di tutto difenderci e dicendo questo non penso certo alle arti marziali, ma intendo che bisogna prestare attenzione a tutte le situazioni a rischio, avere sempre le antenne pronte a percepire i pericoli. Ritengo necessario inculcare nelle donne il rispetto e la considerazione di se stesse, non assoggettarsi a presunti amori malati e infine cercare sempre un’indipendenza economica, per essere libere di scegliere. Questo sul piano strettamente personale. A livello istituzionale ritengo doveroso porre in essere tutto ciò che serve a far sentire una donna protetta: normative adeguate, convinzione nell’applicarle, sensibilità verso la vittima, repressione e pena certa verso il maltrattante. Ma soprattutto penso che l’ambiente in cui vive una donna debole e vessata deve esserle vicino. Non si deve mai fingere di non vedere, di non accorgersi di quello che sta accadendo nella porta accanto secondo il principio “mi faccio i fatti miei”. Una donna che subisce violenza per lo più si vergogna, pensa che è colpa sua per la sua incapacità a relazionarsi invece la stessa donna ha bisogno di sostegno, di essere capita, di essere convinta che la denuncia dell’aggressore è la cosa giusta. Quello che dico può apparire scontato ma, oltre 15 anni fa, quando ho ricevuto a Lecce il “Premio Renata Fonte” ( donna vittima di violenza) per il mio impegno professionale per il contrasto alla violenza di genere, tutti questi concetti erano ancora “ in fieri”. Nella mia attività professionale, ho investito tanta energia personale sul tema, fondi europei per l’attività formativa per le forze dell’ordine su questo fronte, redatto relazioni infinite per arrivare poi alla legge sul femminicidio. Il riconoscimento di Ambasciatrice del Telefono Rosa è un attestato che mi rende fiera ed orgogliosa, in un attività svolta in tutta la mia vita, professionale e non.

Come Prefetto ha sempre riservato un’attenzione particolare al sociale e ai bisogni del territorio. Quali iniziative ricorda con maggiore soddisfazione?
L’attenzione riservata al sociale e ai bisogni del territorio non solo è insita nel ruolo del Prefetto, o dovrebbe, ma appartiene al carattere di una persona, che porta anche nel lavoro la sua carica di umanità, di sensibilità, di attenzione per gli altri. Io ho ritenuto di interpretare il ruolo di Prefetto calandomi nei territori, facendo mio il bisogno di una comunità, vivendo in prima persona i problemi di una collettività con la quale condividevo una parte della mia vita. Ho fatto tutto questo con naturalezza, ma anche sacrificando ogni mio momento libero per partecipare alle cerimonie o ricorrenze care ad un contesto sociale, sia esso di quartiere, di una citta o di una provincia. La collettività dei territori dove ho operato mi ha sempre sentita vicina alle loro problematiche e per questo, spesso, si è creata una perfetta sintonia che permane nel tempo, anche dopo essere andata. Ho scelto di restare piuttosto a lungo nelle Prefetture dove sono stata assegnata proprio per lasciare un segno riconoscibile del mio operato ed infatti, quando ritorno, ad esempio nella provincia di Frosinone, trovo tanta affettuosità da parte di tutti. Iniziative tante, ma mi piace ricordare i rapporti con le scuole: molti ragazzi e anche molti adulti non hanno idea di chi sia il Prefetto e quale sia il suo ruolo. Ho cercato di divulgare questa figura in tutti i contesti possibili per fare in modo che i giovani e i cittadini sappiano di avere un punto di riferimento nel rappresentante del Governo sul territorio. In particolare , con i ragazzi delle scuole superiori, ho avviato progetti di Alternanza Scuola Lavoro (con le Prefetture di Fermo e Frosinone) per renderli partecipi, consapevoli che si lavora con loro ma soprattutto per loro: per esempio ho fatto in modo che gli studenti facessero esperienza, all’interno degli uffici prefettizi del contrasto alla droga, nel settore delle sanzioni sul codice della strada, della sicurezza negli stadi, e su altri argomenti, che potevano essere di loro interesse nell’ambito delle competenze delle Prefetture.
Quali doti, umane e professionali, è necessario avere per ricoprire ruoli istituzionali di primo livello?

Per ricoprire ruoli apicali è necessario essere credibili, e per essere credibile si deve essere preparati, acculturati ed appassionati. E per essere tutto questo è necessario documentarsi sempre su quello che si dice e che si fa: ciò richiede fatica, impegno, determinazione, voglia di fare bella figura per sé ma soprattutto per il ruolo che si rappresenta. Gli altri ti apprezzano se riesci a trasmettere qualcosa che senti , una tua opinione personale, insomma se sei credibile. Dietro questo impegno c’è la tua persona, il tuo vissuto, la tua educazione, la tua esperienza e soprattutto i tuoi valori, che sono quelli fondanti la nostra Costituzione, che devono rappresentare sempre una guida per chi ricopre ruoli pubblici, apicali o no.
Cosa consiglierebbe ad una donna che vuole intraprendere una carriera impegnativa come la sua?
Cosa consigliare a una donna, o ormai anche ad un uomo: studio ad oltranza nella fase iniziale per vincere la concorrenza e poi dedizione, determinazione, passione per quello che si fa. Solo cosi il lavoro diventa appagante. Naturalmente bisogna cercare di assecondare la propria indole ma, anche qualora non sia possibile lavorare sodo sempre, perché prima o poi qualche risposta positiva arriva e non lasciarsi scoraggiare dagli ostacoli che si incontrano, perché quelli ci sono e ci saranno sempre. Ai giovani bisogna insegnare a credere in se stessi, nelle proprie idee e convinzioni. Solo così si possono superare gli scogli per raggiungere i traguardi prefissi.