
Enrico Coppotelli (nella foto) è il nuovo segretario regionale Cisl del Lazio. A soli 37 anni assume un incarico di grande responsabilità che premia il suo impegno sul territorio con le battaglie portate avanti nel comprensorio di Frosinone (il sindacalista è originario di Ferentino) dove ha ricoperto anche la carica di responsabile provinciale.
Quali sono le sue linee guida da neo segretario regionale?
Più che le mie, le linee guida sono quelle della Cisl, della Segretaria Generale Annamaria Furlan e del Segretario Generale della Cisl del Lazio Paolo Terrinoni che ringrazio per avermi dato questa opportunità. Quella di lavorare in una dimensione regionale dove porterò il massimo impegno e la dedizione. Questa sarà anche una priorità.
Quali sono le principali vertenze in corso attualmente nel Lazio e quali preoccupano maggiormente?
Tra le deleghe assegnatemi, e quindi di mia competenza, ci sono le vertenze e punti di crisi in ambito regionale. Ogni territorio ha la sua peculiarità dove la crisi ha lasciato segni indelebili in particolare a Latina ed a Frosinone. Tra il 2008 e il 2016 il Pil del Lazio ha registrato una flessione doppia -6% rispetto alla Lombardia -3,3% e, nello stesso periodo, si è verificata a Roma una riduzione delle Spa -13% e un’esplosione della micro-impresa in settori a basso valore aggiunto e bassa densità di capitale come il commercio ambulante (+30%) e gli affittacamere (+150%). Si stanno perdendo posti di lavoro importanti e mentre nella grande città si riesce a riqualificarsi, in provincia si perde la speranza e il rischio isolamento è dietro l’angolo.
Il rapporto annuale Censis, recentemente evidenziato anche dal segretario generale Furlan, disegna un Paese alla deriva e senza speranze. Come è possibile invertire la rotta?
Gli italiani e le italiane sono oggi molto delusi e senza speranze, come dimostra il dato che il 90% delle persone con basso reddito sono convinte che la loro condizione non cambierà mai. Abbiamo visto sfiorire la ripresa economica, sono cresciute le diseguaglianze sociali e l’emarginazione sociale, i redditi ed i salari sono pressoché fermi, i giovani vanno a cercare lavoro all’estero come negli anni Cinquanta. E’ un paese che fa molta fatica a crescere, che si affida solo ad internet ed ai social network per vincere la solitudine. Ecco perché non c’è altra strada che ripartire, con decisione e con provvedimenti straordinari, dalla crescita, dal lavoro e quindi dagli investimenti pubblici e privati, scommettendo sulla formazione e sulla scuola per ricostruire un patto sociale fra le generazioni e le diverse aree del Paese. Il lavoro è lo strumento per ridare fiducia alla gente oggi sempre più incattivita e pessimista sul futuro, soprattutto per una serie di promesse disattese della politica. In un contesto mondiale in cui tutto sembra volgere a favore dei giovani, l’avanzamento tecnologico, la predisposizione alla flessibilità, la sfida delle nuove competenze per un’industria 4.0, l’Italia si configura come un’anomalia. Le scelte politiche compiute in diversi campi, dall’istruzione alle riforme del lavoro, dalle politiche per diminuire il gender gap al welfare, non hanno favorito la stabilizzazione dei giovani italiani nel mercato, anzi hanno aumentato la distanza tra scuola e lavoro, accrescendo a tal punto la sfiducia nei confronti della formazione.
Reddito di cittadinanza: un percorso per migliorare la qualità della vita e inserire nel mondo del lavoro o il solito intervento assistenzialista?
Combattere la povertà è una priorità, ma il lavoro non si crea con sussidi. Inoltre non è ancora definita la platea e soprattutto questo rapporto tra reddito di cittadinanza e lavoro, per noi indispensabile, non si capisce ancora come si può realizzare. I nostri giovani chiedono anzitutto il lavoro, lo chiede il nostro Paese. Infine investire sui Centri per l’impiego è molto importante, ma può rivelarsi inutile se poi non ci sono posti di lavoro da offrire. E questo è il rischio che vogliamo evitare.
Il vero problema è l’assenza di lavoro. Cosa si dovrebbe fare per crescere da questo punto di vista?
Siamo preoccupati per la bassa crescita e per gli indicatori economici che dimostrano un rallentamento della ripresa della produzione industriale e dell’occupazione. Rischiamo di tornare indietro. Per noi la priorità è come far ripartire il trend economico ed il tema delle infrastrutture è nodale: ci sono 27 miliardi di risorse disponibili e decine di opere pubbliche bloccate in attesa dell’analisi costi benefici che tarda ad arrivare. Poi il fisco, focale per rafforzare i salari e le pensioni. La flat tax deve pensare anche a tagliare le tasse al lavoro dipendente per stimolare i consumi.
Quale è il ruolo del sindacato in una società che evolve continuamente e non sempre in meglio?
La necessità di concentrare l’attenzione e gli investimenti sia organizzativi che finanziari, sul tema delle competenze dei lavoratori è stata indicata dal sindacato e dalla Cisl in particolare, come una priorità. Riguardo al tema Impresa 4.0, due questioni oggi ci sembrano imprescindibili affinché il nostro Paese possa giocare un ruolo competitivo a livello globale: la costruzione di una rete infrastrutturale per la banda larga e ultra larga, investimenti significativi per migliorare e ampliare le necessarie competenze e le nuove abilità. Il tema delle competenze andrebbe approcciato almeno su due fronti: quello scolastico, ricomprendendo i diversi livelli formativi e dando impulso a seri progetti di alternanza scuola-lavoro e quello dell’aggiornamento professionale di chi già lavora, con l’obiettivo di minimizzare la cosiddetta disoccupazione tecnologica. Difendere il lavoratore non solo nel posto di lavoro, ma nel percorso di lavoro è la vera sfida del Sindacato nei prossimi anni.