Non sempre le donne possono affrontare la maternità con la gioia e la serenità che il momento richiederebbe. Sono molti i casi bisognosi di sostegno e assistenza, a causa di situazioni che la donna è costretta ad affrontare. Come difficoltà economiche, rapporti tesi con i partner, fragilità psicologiche o qualsiasi altro ostacolo che rende complicato il periodo della gravidanza, ma anche la scelta stessa di far nascere un figlio. Una realtà di cui si occupa quotidianamente il Centro Aiuto per la Vita che si trova all’interno dell’ospedale dei bambini “Buzzi” di Milano (foto a sinistra), guidato dalla dottoressa Paola Persico, psicologa (foto a destra). La incontro per conoscere più da vicino un servizio che in Lombardia viene definito di eccellenza.
Dottoressa Persico, quando e come è nato questo Centro?
E’ nato nel 2012. Per oltre dieci anni ho fatto esperienza, come psicologa e psicoterapeuta, al “Mangiagalli” di Milano assistendo persone con gravi difficoltà e maternità difficili. Ho desiderato, dopo questo periodo, insieme ad altri professionisti che mi hanno dato una mano, di istituire questo centro nell’ospedale “Buzzi”, che è il secondo a Milano. Al Centro siamo in cinque tra psicologhe, psicoterapeute ed educatrici e poi ci sono tantissimi volontari che ci aiutano. Operiamo in collaborazione con enti, istituzioni e servizi sociali.

Di cosa si occupa il Centro?
Ci occupiamo di donne con maternità difficili. Sono quelle che quando scoprono di aspettare un bambino non sanno se tenerlo, le aiutiamo ma naturalmente la scelta è sempre libera; quelle che hanno difficoltà economiche e per loro ci sono i contributi; sono le donne che vanno sostenute perché hanno diagnosi gravi di natura genetiche, mamme che hanno l’Aids e donne che sono vittime di violenza.
Spesso i Centri per la Vita vengono visti come un ostacolo all’attuazione della legge 194 che regola l’interruzione volontaria della gravidanza. E’ così?
Non siamo assolutamente contro la legge, che deve esserci per non far rischiare la vita alle donne con gli aborti clandestini. Ed infatti collaboriamo all’interno dell’ospedale con il reparto della 194 da dove ci segnalano i casi più difficili affinché le donne in crisi, che hanno difficoltà a scegliere o non vogliono abortire, vengano sostenute. E questo è proprio l’obiettivo della legge.
Di quanti casi vi siete occupati finora?
Siamo arrivati a mille bambini, ma non dirò mai che sono stati “salvati” perché sono le mamme che hanno deciso di tenerli, quindi diciamo che abbiamo sostenuto mille donne che hanno voluto il proprio bambino nonostante le difficoltà. Poi, grazie alla collaborazione di cui abbiamo parlato con il reparto della 194, abbiamo fatto nascere altri 200 bambini. Inoltre all’interno dell’ospedale c’è uno sportello contro la violenza. Noi segnaliamo le donne che hanno bisogno e lo sportello attiva tutte le procedure. E purtroppo i casi sono tanti, con compagni che picchiano le donne perché non sono d’accordo di tenere il bambino dall’inizio o nel corso della gravidanza.

A quale tipo di mamma il Centro dà una mano? E cosa fa in concreto?
In percentuale, il 40% di loro sono mamme italiane, mentre una volta venivano soprattutto le straniere. Sono donne che vivono in povertà. A loro diamo pannolini, corredini, borsa della spesa, passeggini e quanto può essere utile. Poi ogni tanto diamo anche dei contribuiti. Sono fondi del progetto Gemma, 170 euro al mese fino a quando il bambino non compie 9 mese a partire dall’inizio della gravidanza, e i fondi della Regione Lombardia che da sempre è attiva per questo tipo di aiuti. Da due anni ha istituito il bonus famiglia, sono 1500 euro quando nasce il bambino e aiuta le mamme almeno a sfamare il bambino. Perché purtroppo ho visto casi di enorme povertà, come quello di un bambino che veniva nutrito solo con acqua e camomilla perché la mamma non poteva comperare il latte o la donna che faceva il bagnetto al figlio aprendo il portone dell’androne per avere un po’ di luce, non avendola in casa. Non posso dimenticare neanche i gemellini giapponesi tenuti in una scatola perché i genitori non avevano nulla, abbiamo dato loro subito una carrozzina. Ci sono anche le donne giovani che devono lasciare le famiglie non d’accordo con la scelta di mandare avanti la gravidanza, per loro abbiamo apposite case-famiglia.
Questi casi di estrema povertà sono in crescita?
Purtroppo sì. Prima erano un centinaio di casi l’anno, adesso siamo già a 200. I casi sono quasi raddoppiati.
Avete qualche nuovo progetto in cantiere?
In vista abbiamo progetto per sensibilizzare le donne sulla contraccezione, perché ci sono donne, anche elevate culturalmente, che non hanno le giuste informazioni. Molte non sanno che possono rimanere incinte mentre allattano e quindi arrivano disperate con una seconda gravidanza, altre non curano questo aspetto perché impegnate a lavorare tutto il giorno. Speriamo di portare a buon fine questo importante progetto.