
Intraprendente, dinamico, esperto di comunicazione. Fabrizio Casinelli, 52 anni, è nato ad Arpino, provincia di Frosinone, ed è giornalista professionista dal 1998. Come molti di noi, ha iniziato la sua carriera collaborando con radio e televisioni locali nel periodo del boom dell’emittenza privata. Da allora, erano gli anni Ottanta, non si è più fermato. Fino ad approdare in Rai nel 2009, dopo vari e importanti incarichi ricoperti anche nella comunicazione istituzionale (Senato, Palazzo Chigi, presidenza del Consiglio dei Ministri). Attualmente è direttore del Radiocorriere Tv, da oltre 70 anni organo ufficiale della Rai.
Come definiresti l’esperienza della direzione dello storico Radiocorriere Tv?
Una esperienza straordinaria. Una testata storica che ha visto grandi firme del giornalismo italiano. Nel 2012 l’ho trovata abbandonata in un cassetto e ho deciso di rilanciarla in versione online. Da quel momento non ci siamo più fermati e sono sette anni che andiamo in rete ogni lunedì mattina grazie ad un manipolo di professionalità a cui sarò sempre grato.
Hai avuto tanti incarichi importanti, quale ricordi con particolare piacere?
Sicuramente essere stato Capo Ufficio Stampa della Presidenza del Consiglio dei Ministri è stata una esperienza straordinaria. Sai, ricevere una lettera con i complimenti per il lavoro svolto da parte del Presidente degli USA, all’epoca George W. Bush, è stato qualcosa di unico. Se mi avessero detto nel 1984, quando ho iniziato a muovere i primi passi nel mondo della comunicazione, che un giorno sarei arrivato a Palazzo Chigi, sarei scoppiato a ridere. E poi i premi internazionali per lo sviluppo della comunicazione pubblica. Per non parlare del sito del Governo. Pensa che il mio progetto è rimasto operativo dal 2002 fino al restyling voluto dal governo Renzi. E’ stata una grande palestra professionale, ma soprattutto di vita.
Sei un giornalista di lungo corso, qual è a tuo parere lo stato di salute della nostra professione?
La nostra professione vive un momento di grandissima difficoltà. Le nuove tecnologie hanno depotenziato il nostro lavoro. Con l’avvento dei social network, poi, siamo stati sorpassati a destra e sinistra da chi armato di un solo telefonino cellulare si sente a tutti gli effetti un reporter. Da qui le fake news e un sistema di notizie che fagocitano tutti senza rispetto. Noi abbiamo la nostra deontologia professionale come faro e non dovremmo mai dimenticarlo.
E quale è lo stato di salute della Rai dove lavori da tempo?
Sulla Rai se ne dicono tante, ma resta la più grande industria culturale del Paese. Una grande Azienda che ha al suo interno professionalità straordinarie, in tutti i settori.
Ad un giovane che vorrebbe intraprendere il mestiere di giornalista cosa consiglieresti?
La nostra professione è completamente cambiata. Quando ho iniziato c’era una forza, una spinta che oggi non vedo nei giovani colleghi. Nelle scorse settimane sono stato contattato dall’Università Roma 3 per parlare di comunicazione e giornalismo. Ai tanti ragazzi presenti ho posto un paio di domande sulla loro idea di giornalismo e sul perché intraprendere questa professione. Le risposte che ho ricevuto mi hanno deluso, e non per colpa dei ragazzi che le hanno date, ma perché ormai viviamo in un mondo dove si pretende tutto e subito. Dove la sana e vecchia “gavetta”, quella fatta di ore al telefono per i classici giri di “nera o di bianca” sembra essere qualcosa di assurdo…
Sei nato ad Arpino, hai collaborato con testate della provincia di Frosinone, quindi conosci molto bene anche le vicissitudini della stampa locale, che non naviga proprio in buone acque. Cosa non ha funzionato e non funziona in questo ambito?
Mi piacerebbe fare il solito discorso di una provincia schiacciata tra Napoli e Roma, che potrebbe sembrare qualcosa di negativo, ma che invece dovremmo trasformare in una grande possibilità di sviluppo e di crescita: non l’ha fatto mai nessuno. Penso che la stampa locale in questi anni sia mossa e sia cresciuta di pari passo con il territorio. La nostra Provincia ha avuto momenti di grande forza economica e politica. Adesso le cose sono cambiate e con la crisi del settore anche gli imprenditori che hanno creduto e investito vivono in un regime di grande difficoltà. Basti pensare al numero di realtà locali, radio, tv e giornali, che erano presenti sul nostro territorio negli anni 90 e a quelle che sviluppano la propria attività nel 2019. Siamo ben oltre la metà. Dati importanti, allarmanti. Sono stati pochi gli imprenditori puri del settore e quelli che resistono, perché di resistenza si parla, sono gli unici che hanno avuto la forza di guardare oltre il loro piccolo mondo antico. Mi auguro che la situazione possa migliorare, ma onestamente non ci credo.