
Dal 2008 ad oggi ha ricevuto un’infinità di premi e riconoscimenti nazionali e internazionali che sottolineano il percorso letterario di un autore eclettico, considerato uno dei più interessanti poeti contemporanei, che ha firmato di recente l’ottavo libro di poesia dal titolo “Asintoti e altre storie in grammi” pubblicato con la casa editrice Le Mezzelane.
Davide Rocco Colacrai, nato e cresciuto a Zurigo, è arrivato in Italia per gli studi liceali e successivamente si è laureato in Giurisprudenza all’Università di Firenze, dove ha conseguito anche una specializzazione in studi giuridici e il Master di II Livello in Psichiatria forense e Criminologia.
“Asintoti e altre storie in grammi” è una raccolta di frammenti in cui si specchia il mondo nelle sue plurime estensioni di vita. Si parla dell’11 settembre, della famiglia (la stessa storia viene raccontata da due punti di vista diversi, quello del padre e quello della madre), dei manicomi, dell’amicizia, dell’assenza e dell’amore.
Come è nata la sua passione per la poesia?
Diciamo pure che ho sperimentato molteplici arti. Dalla musica, ho studiato pianoforte per dieci anni e flauto per quattro, alla pittura fino alla recitazione, ma ho trovato l’espressione più adatta a me, quella rispetto alla quale mi sento più a mio agio, che vivo con maggiore naturalezza, nella poesia. Sono solito dire, infatti, che la poesia è arrivata a me.
Come definirebbe il suo fortunato percorso di autore di poesie dall’inizio ad oggi e cosa le ha dato maggiori gratificazioni in questi anni?
Mi piace pensare al mio percorso – come autore – in termini di evoluzione: una crescita, e dunque una maturazione, come uomo, che si è inevitabilmente riflessa nei miei versi, e in particolare nel modo di scrivere e nei temi che le mie poesie trattano. In questo percorso ho avuto numerose gratificazioni, o più genericamente diversi momenti che mi hanno fatto trovare il senso e me lo hanno confermato. Dai libri pubblicati ai riconoscimenti conseguiti, i viaggi che ho potuto intraprendere e le persone che ho conosciuto; ma forse quella che mi aspettavo di meno, e che pertanto mi ha sorpreso e gratificato di più – oserei dire: una vera scommessa! – è stata questa: l’aver portato la poesia alle persone con una idea, che era stata definita di poesia in teatro – o di poesia visuale – e aver trovato un certo consenso.

Il suo ottavo volume si chiama “Asintoti e altre storie in grammi”. Se dovesse recensirlo, cosa scriverebbe?
Questa domanda mi piace molto! Dunque, lo definirei un libro completamente diverso dai classici libri di poesia. Infatti si presenta con un formato che hanno tipicamente le agende, si sfoglia come un’agenda, ed è ricco di storie, alcune delle quali raccontate anche da due punti di vista diversi. È sicuramente un libro sperimentale, molto personale anche se di personale viene raccontato poco (o poco in apparenza), e onesto.
Nei suoi libri scrive molto di temi attuali e a sfondo sociale. Con quali criteri sceglie gli argomenti da trattare?
Non ho un criterio – o non seguo un determinato criterio – in base al quale scegliere cosa scrivere. Sono una persona molto curiosa, leggo molto, mi piace studiare e approfondire i miei appunti – solitamente relativi a fatti sociali o storici – e quando mi ritengo pronto (e anche predisposto verso una tematica, predisposto a prendere una posizione, a proposito dell’onestà a cui accennavo prima) scrivo.
Spesso fa riferimenti al teatro e alla musica. Sono passioni che influenzano la sua produzione di poesie?
Decisamente sì. La musica mi accompagna sin da quando sono piccolo (e mi piace pensare anche da prima) e mi ha salvato la vita, e il teatro mi ha permesso di liberarmi di alcune mie paure, di essere più me stesso, di avere il coraggio per andare oltre, per evolvere meglio, con maggiore equilibrio.
Quale ruolo assume la poesia nel panorama culturale e nella società di oggi? C’è ancora spazio per questo tipo di espressione artistica?
C’è un grande fermento poetico anche se la poesia paga il fatto di essere messa sempre dopo la prosa, un po’ come la sorella sfigata. Secondo me, spetta a ogni poeta, nel suo piccolo, fare in modo che la poesia possa avere più forza, essere ascoltata con maggiore attenzione. In fondo, la poesia è fatta – sia come presupposto sia come conseguenza – della società in cui viviamo: c’è una biunivocità necessaria, inevitabile, la società stessa è poesia.